Il 2018 segna l’anno in cui si festeggeranno i 90 anni di quella che, con molte probabilità, è la figura fumettistica più amata da grandi e piccini: Topolino.
Si tratta di un’icona che, negli anni, ha subito parecchi cambiamenti sia dal punto di vista grafico che caratteriale, a volte stravolgendo totalmente la sua immagine da un’epoca all’altra. Proprio partendo da questa considerazione, per alcuni, il “topo parlante” è da reputare un importante indicatore dei cambiamenti storici e dell’umore che ad essi si accompagnava; non a caso, ad esempio, nel dopoguerra Topolino diviene più inquieto e meditativo, quasi a voler incarnare con rispetto il pensiero di quanti stavano ancora portando con fatica il peso della guerra appena conclusa.
C’è poi chi ritiene, a ragione, che gran parte dei cambiamenti grafici di Mickey Mouse possano essere ricondotti ad un’attenta analisi psicologica che i grafici Disney avevano compiuto e che aveva evidenziato delle forti correlazioni tra alcune caratteristiche grafiche ed il nostro inconscio.
Ma andiamo ad analizzare più da vicino quali sono state le epoche più determinanti per i cambiamenti di Topolino e perché.
Anni ’20: Topolino nasce dispettoso
I più antichi cartoni animati di Topolino, realizzati sul finire degli anni ’20, presentavano un personaggio per molti versi lontanissimo dall’immagine convenzionale di topo gentile, timido ed ingenuo sedimentatasi nella memoria collettiva. Benché in quel periodo i cartoni animati non avessero ancora raggiunto una così avanzata caratterizzazione e non si potesse ancora parlare di “psicologia del personaggio”, le gag comiche che coinvolgevano Topolino lo ritraevano come un personaggio un po’ dispettoso, opportunista e a tratti anche crudele. Sono esemplari le situazioni in cui il personaggio si serve di altri animali per mettere in scena degli stacchetti musicali dal retrogusto vagamente sadico in cui Mickey tira la coda ad un gatto, torce il collo ad una papera o, ancora, suona con delle bacchette i denti di una mucca.
Va anche detto che, grazie ai capovolgimenti di ruolo su cui era costruita la struttura narrativa di quei corti, Topolino si trovava comunque spesso anche vittima inerme dei suoi nemici (come lo storico Gambadilegno) tanto da arrivare anche a suscitare la compassione dello spettatore.
Dal punto di vista grafico, sono esemplari di quel periodo le grandi iridi con il riflesso triangolare, ad oggi forse leggermente inquietanti perché emotivamente poco comunicative.
Anni ’40: Mickey Mouse diventa definitivamente buono
Verso la fine degli anni ’30, complice anche la grande popolarità di cui iniziava a godere Topolino in tutta la nazione, gli animatori iniziarono ad adeguare il loro personaggio alle attese del grande pubblico. Ecco che il lato infantile ed innocuo prese totalmente il posto di quello aggressivo, in un processo di addolcimento che vide il suo apice alla fine degli anni ’40. Proprio negli anni ’40, lo scrittore-zoologo Stephen Jay Gould scriveva così a proposito di Mickey Mouse: “colui che una volta si era divertito a fare della musica con i capezzoli di un maiale, riceve un colpo di scopa nel sedere per insubordinazione (come apprendista stregone nel film Fantasia) e quando va a pescare non riesce nemmeno a sottomettere una fastidiosa vongola”.
Man mano che Topolino si trasformava in un personaggio buono inserito in un mondo fantastico, anche i suoi tratti somatici andavano mutando e subendo un graduale processo di “infantilizzazione”. Sempre secondo Gould, i disegnatori di Disney modificarono Topolino in un “topo-bambino” in silenzio, spesso usando in vario modo espedienti che mimano i cambiamenti della natura. Ecco che, per dargli le gambe corte e paffute dei bambini, essi gli allungarono e allargarono i pantaloni; le dimensioni della testa aumentarono, il volto assunse un aspetto più giovanile, le orecchie si spostarono indietro e la fronte, per essere più simile a quella dell’infanzia, divenne sporgente; anche gli occhi, tratto distintivo dei cambiamenti grafici di Mickey Mouse, passarono dall’iride triangolare, ad una pupilla totalmente nera fino a degli occhi veri e propri molto grandi e più espressivi.
Anni ’50: Topolino diventa “moderno”
Con la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, Topolino cessa di vestire i suoi classici pantaloni rossi per indossare abiti più adatti alle varie situazioni all’interno delle quali si inseriva (una battuta di caccia, un appuntamento galante, una giornata da operaio…). Questa esigenza di rendere Mickey Mouse più “trasformista” era sicuramente legata anche al periodo storico occidentale: la grande positività e fiducia nell’economia, infatti, si riflettevano anche nella voglia di mettersi in gioco da parte delle persone, in quella spinta interiore verso il “poter diventare qualcuno” di diverso rispetto a chi si era stati fino a quel momento.
In quegli anni anche la forma del viso di Topolino viene nuovamente ridisegnata, con occhi e fronte ancora più grandi: ormai la rilevanza dei tratti infantili è talmente evidente da rendere Mickey Mouse indistinguibile da suoi nipotini, eccezione fatta per l’altezza. Questa nuova figura viene conservata appena qualche anno, fino alla chiusura definitiva della serie nel 1953.
Anni ’80/’90: Topolino torna anni ‘30
Dopo una trentina d’anni di “inattività”, Topolino ricompare tra gli anni ’80 e ’90 in una serie di cartoni (Mickey’s Christmas Carol, The Prince and the Pauper, Runaway Brain) che celebrano quella che è, e resterà, la sua identità definitiva: Mickey Mouse si ripresenta nella stessa forma di fine anni ’30, con quell’immagine che ha rappresentato il suo apice di celebrità e affetto da parte del pubblico.
I motivi di un Mickey Mouse infantile
Nel suo saggio, Gould interpreta i cambiamenti morfologici di Topolino verso caratteristiche infantili partendo da una celebre teoria di Konrad Lorenz: secondo questo studioso, determinate caratteristiche infantili (una testa relativamente grande, predominanza della scatola cranica, occhi grandi e situati in basso, estremità corte e grassocce, una consistenza elastica e movimenti goffi), funzionerebbero per l’uomo come “segnali comportamentali” volti a suscitare un atteggiamento affettivo e protettivo nei confronti dei bambini. In questo senso, l’infantilizzazione di Topolino sottende la scoperta (più o meno inconscia) di questo principio da parte di Disney e dei suoi disegnatori, che sono stati portati a disegnare il personaggio di Mickey Mouse secondo ciò che suscitava più simpatia in loro e nello spettatore. Era il modo in cui questo personaggio comunicava con la loro “parte bambina” che li ha condotti, quasi naturalmente, a rappresentarlo in un certo modo piuttosto che in un altro. Tutto questo rappresenta un segnale molto forte di come, dietro ad ogni processo artistico, vi siano implicazioni molto complesse relative agli stati d’animo più inconsci e profondi.
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