Gli anni Ottanta furono il periodo d’oro della sperimentazione digitale: basti pensare alla nascita di videogiochi come Pac-Man, destinati ad avere un successo mondiale. All’epoca si parlava già di 3D computer animation, principalmente per riferirsi agli esperimenti tecnici di ingegneria informatica, il cui scopo, spesso, era dimostrarne le potenzialità di nuovi tipi di software in termini di innovazione, ma che avevano poco a che fare con l’animazione intesa come intrattenimento. In questo scenario non è difficile immaginare l’effetto che Luxo Jr., il primo corto ufficiale della Pixar, fece alla conferenza del SIGGRAPH nel 1986.
Come descrivono perfettamente le parole di Ferruccio Giromini, giornalista e studioso di arti visive, nella prefazione al saggio “Pixar Inc. – la Disney del Duemila” di Gianluca Aicardi:
«Quello non era certo l’esercizietto di stile, per quanto sorprendente, a cui gli informatici si erano abituati fin lì. Diamine, quello era un film. Una (piccola) storia. Degli attori – per quanto in origine inanimati – che recitavano, e bene. Un’emozione vera. Una meraviglia tecnica che si presentava per la prima volta in modo rotondo anche come meraviglia espressiva. Qualcosa di mai visto prima.»
La storia di Luxo Jr., il primo cortometraggio della Pixar
Questo gioiello di abilità artistica e tecnologica, frutto della vivace immaginazione e del duro lavoro di John Lasseter e del suo team, oggi appartiene ufficialmente al National Film Registry degli Stati Uniti come “tesoro cinematografico”, e detiene il primato per essere stato il primo film animato al computer a ricevere una nomination agli Oscar.
La trama del corto è molto semplice: una lampada-genitore guarda la lampada-figlio giocare con una palla colorata. Nonostante le lampade siano di fatto oggetti inanimati, Luxo Sr. e Luxo Jr. hanno caratteristiche umane: dai loro movimenti si riescono a percepirne il carattere e perfino le espressioni. La tecnologia e gli algoritmi che stanno dietro a questo film sono a servizio della naturalezza, tant’è che il grandissimo lavoro di studio per realizzare ogni minuzia tecnica, quasi passa inosservato per concentrarsi sulla storia.
Una reazione interessante, che per John Lasseter stabilì la conferma del successo, fu quella di Jim Blinn, pioniere della computer grafica che alla fine della presentazione, anziché porgli domande sugli aspetti tecnici della produzione del film, gli chiese se la lampada-genitore fosse una mamma o un papà. Questa semplice domanda fu per lui la dimostrazione di aver raggiunto il suo scopo: far sì che la storia e i personaggi fossero la cosa più importante.
La narrazione è alla base della Pixar
Questa filosofia è diventata parte della Pixar stessa, che oggi, nonostante la computer grafica e la modellazione 3D si siano evolute al limite del reale, continua a sorprendere per la sua genuinità e la capacità di emozionare.
Piper è l’ultimo cortometraggio firmato Pixar, realizzato a trent’anni di distanza da Luxo Jr., per opera di Alan Barillaro. Anche qui la narrazione è dedicata al rapporto genitore – figlio, ma questa volta il protagonista è un piccolo gabbiano che ha paura dell’acqua.
Per realizzare questo corto, ogni dettaglio è stato studiato nei minimi particolari, grazie anche a tecnologie all’avanguardia e al supporto di un team sempre più specializzato. Il video del backstage può solo far immaginare quanto sia complicato il processo di realizzazione di ogni singolo frame. Il risultato, però, non ha nulla di artificioso, anzi, per la sua accuratezza si avvicina più a un documentario naturalistico che a un cartone animato.
Tutto però, ancora una volta, è a supporto della storia: un racconto semplice, tratto da esperienze comuni di vita reale, con un cambio di prospettiva che permette di immedesimarsi con i personaggi.
A quanto pare la Pixar non ha perso di vista il suo obiettivo.
L’emozione è ciò che rimane.
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